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A cura di Susanna Capone

Il migrante? Concetto letterario o socio-politico? Realtà o astrazione?
Innanzitutto partiamo dalla difficoltà nel definire il migrante.
Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, migrante è qualsiasi persona che si muova o si sia spostata attraverso un confine internazionale o all’interno del proprio Stato dall’abituale posto di residenza indipendentemente dal proprio status legale, dal fatto che lo spostamento sia volontario o forzato e dalla causa che conduca a tale azione.
Questo ci porta ad allargare lo sguardo a figure completamente diverse l’una dall’altra: migrante religioso, migrante per motivi di studio, migrante economico, sfollato, rifugiato, richiedente asilo, migrante perseguitato per appartenenza etnica o orientamento sessuale.
Dal punto di vista sanitario, ciascun migrante è da considerarsi come un albero estremamente ramificato, le cui radici portano allo sviluppo di piante l’una diversa dall’altra. Le radici sono i determinanti socio-economici di salute e non sono da considerarsi come il mero punto di partenza del processo migratorio ma come elementi circolari.
Consideriamo, ad esempio, l’epidemiologia del paese di origine del migrante: inizialmente questa ci permette d’inquadrare il migrante in una categoria di rischio e di indirizzarlo ad una tipologia di screening specifica. A due anni dall’ingresso nel paese ospitante, il peso del fattore epidemiologico tenderà ad attenuarsi. Le nuove condizioni di vita socio-economiche (acquisizione di un lavoro, di un titolo di soggiorno…) diventeranno elementi fortemente condizionanti lo sviluppo di specifiche patologie (ad es. infettive, post-traumatiche, professionali).
Con l’ulteriore avanzare degli anni, l’alimentazione, lo stile di vita, il processo d’integrazione/disintegrazione sociale, incideranno sempre più sulla salute del migrante ed in maniera variabile a seconda della tipologia del migrante e del viaggio in continua evoluzione che questi stesso sta intraprendendo.
La gestione del migrante è dunque un atto fondamentale di Sanità Pubblica che non può prescindere da un corretto approccio transculturale.
Solo l’adeguato e graduale approccio del migrante, ci permetterà, ad ogni occasione di contatto sanitario, di rilevare i determinati socio-economici che maggiormente impattano sull’outcome Salute.
Ma dal punto di vista giuridico?
Ad oggi continuiamo a semplificare in una dicotomia: migrante senza permesso di soggiorno (undocumented) e migrante con titolo di soggiorno (documented).
Questo è infatti è un elemento fortemente condizionante l’accessibilità ai sistemi sanitari e da qui la possibilità di attivare un percorso diagnostico-terapeutico.
In Italia persiste una grande eterogeneità di gestione del fenomeno migratorio dal punto di vista sanitario.
L’alfabetizzazione nell’ambito della Medicina delle Migrazioni presuppone la conoscenza e distinzione dei diversi profili migratori:
Richiedente asilo: straniero che ha presentato domanda di protezione internazionale su cui non è stata ancora adottata una decisione definitiva ovvero ha manifestato la volontà di chiedere tale protezione. Tale diritto è esplicitato nell’ Art 2 direttiva 2011/95/UE. Trova le proprie fondamenta nella Dichiarazione dei Diritti Universali dell’Uomo (art.14) e Convenzione di Ginevra (1951) e nel Protocollo di New York (1967).
Non dobbiamo mai dimenticarci che tale diritto è sancito dalla nostra Costituzione che, all’art 10, comma 3, recita: “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
L’esito dell’istruttoria, conferito dal Ministero degli Interni, tramite le Commissioni territoriali, porterà al riconoscimento o diniego della Protezione internazionale.
Nel suo ambito distinguiamo tra:
Rifugiato: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno.
Beneficiario di protezione sussidiaria: cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno.
Oltre alla protezione internazionale esistono la protezione umanitaria e la protezione per casi speciali.
Il Decreto Legge113/18 abolì la protezione umanitaria ed istituì la protezione per casi speciali; la protezione umanitaria fu reintegrata dal Decreto Legge 130/2020.
Il 2018 ha rappresentato un momento di grosso cambiamento per il circuito d’accoglienza, da allora il sistema virtuoso della rete SPRAR, che l’Europa intera prendeva ad esempio, è stato trasformato e depotenziato.
Arriviamo ad oggi con il Decreto Legge 20/23, convertito in Legge 50/23.
Questo punta ad una stretta sull’immigrazione irregolare, ampliando i flussi d’ingresso per motivi di lavoro, abolendo il permesso per protezione speciale e limitando le garanzie per cure mediche così come i permessi per calamità. I prossimi mesi evidenzieranno l’impatto sulla qualità di gestione del fenomeno migratorio e ne chiariranno i contenuti.
Non dimentichiamoci tuttavia che richiedenti asilo e beneficiari di protezione internazionale, così detti Migranti Forzati (Stranded Migrants), costituiscono una piccola percentuale dei migranti totali. La maggior parte dei migranti fa parte della categoria dei migranti economici (regolari o irregolari) 0 per motivi di ricongiungimento familiare.
Quello che rimane fondamentale è che, indipendentemente dallo status giuridico, la Salute dei Migranti ad oggi DEVE essere tutelata dal nostro Paese.
Infatti L’art. 32 della Costituzione italiana considera la salute come un diritto fondamentale dell’individuo, oltre che un interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Secondo la Corte Costituzionale, la salute è un diritto che la Repubblica italiana “riconosce” all’individuo in quanto tale e non “concede” in relazione a condizioni determinate. Tale diritto deve essere riconosciuto anche allo straniero, qualunque sia la sua posizione rispetto alla normativa sull’ingresso e soggiorno.
Questo impone al nostro Paese, al di là degli orientamenti politici e di pensiero, di prendere in carico ogni soggetto migrante.
Il Ministero degli Interni disciplina la gestione della categoria specifica di richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale, garantendo a ciascun individuo un percorso sanitario che ha inizio nel porto di sbarco e si sviluppa nei centri di accoglienza e nei successivi SIPROIMI.
Questo percorso presume uno screening iniziale, volto all’identificazione precoce delle malattie contagiose (in primis TB e ectoparassitosi) e un approccio sindromico che permette di avviare un iniziale percorso di cura a seconda degli elementi emersi (ad es. sindrome diarroica, stato di malnutrizione severa, patologie della gravidanza, violenza psico-fisica…).
La difficoltà nell’attuare questo primo step sta nella natura stessa del migrante.
Infatti, nell’arco della prima settimana sul suolo italiano, il richiedente asilo spesso cambia il proprio domicilio provvisorio molteplici volte, rendendo ardua la tracciabilità del migrante ed il completamento del processo di screening stesso (basti pensare che l’intradermoreazione secondo Mantoux spesso viene effettuata nel primo centro di accoglienza per poi non essere letta nel tempo adeguato o essere ripetuta proprio a causa dei continui spostamenti del migrante. Anche quando lo screening tubercolare ha inizio, l’avvio e ancor di più il completamento del trattamento preventivo per infezione tubercolare latente, paiono una vera sfida).
Ma come gestire i migranti dal punto di vista sanitario?
Per i migranti undocumented ci viene in aiuto il codice STP che fu introdotto con la Legge 40/98.
Il codice STP (Straniero Temporaneamente Presente) è un codice regionale individuale, a 16 cifre, riportato su un tesserino rilasciato ai cittadini extra-UE, privi di permesso di soggiorno, perché possano accedere al SSN secondo le modalità previste dai regimi di accesso al SSN. Viene emesso sotto responsabilità del medico previa valutazione amministrativa locale ed ha valenza su tutto il territorio nazionale.
Non è il singolo medico ad avere la libertà di emettere il codice STP ma l’ente dedicato.
È tuttavia responsabilità di ciascun medico garantire che questo diritto venga assolto.
Il codice STP deve essere firmato dal migrante, il quale, dichiarerà l’eventuale stato d’indigenza.
Ha la durata di 6 mesi e decade nel momento in cui il beneficiario acquisisce un permesso di soggiorno e dunque l’iscrivibilità al SSN e SSR. È rinnovabile ogni 6 mesi su tutto il territorio italiano.
Può essere rilasciato dalle ASL, dalle Aziende Ospedaliere, dai Policlinici Universitari e dagli IRCCS.
A cosa dà diritto il codice STP?
A tutte le prestazioni sanitarie urgenti ed essenziali ad eccezione di quelle riabilitative e di chirurgia plastica, salvo che queste stesse non siano necessarie alla tutela della salute del paziente stesso (ad es. chirurgia plastica ricostruttiva post ustione, riabilitazione in eventi post-traumatici maggiori).
Al codice STP possono essere associate le relative esenzioni di patologia, qualora ne sussistano i requisiti (ad es. 013 per il DM).
Il codice di esenzione X01 deve essere apposto al codice STP in tutti i casi in cui sussista la condizione d’indigenza al fine di garantire l’erogazione delle prestazioni sanitarie e dei farmaci necessari.
Capitolo a sé, è rappresentato dai migranti cittadini dell’Unione Europea, privi di TEAM (Tessera Europea Assistenza Sanitaria) e di residenza, non iscrivibili al SSN, muniti di passaporto o altro documento d’identità.
Questi, anche in assenza di un titolo di soggiorno, hanno la possibilità di accesso al SSN tramite il codice ENI, il quale, tuttavia non viene rilasciato in maniera uguale su tutto il territorio italiano. Basti pensare alla Regione Lombardia, la quale, ad oggi, non ha ancora previsto l’erogazione del codice ENI per i cittadini comunitari non iscritti e non iscrivibili al SSN. Il codice ENI può essere rilasciato dalle ASL, dalle Aziende Ospedaliere, dai Policlinici Universitari e dagli IRCCS ed è un codice identificativo regionale costituito da 16 caratteri: è valido 6 mesi, rinnovabile ogni 6 mesi e valido solo nel territorio regionale in cui è stato emesso.
La variabilità di applicazione del diritto ha da decenni visto protagonista la Società italiana di Medicina delle Migrazioni, supportata da organizzazioni istituzionali e non governative, come osservatore e garante del diritto stesso. Sono infatti stati avanzati quesiti specifici ai Ministeri della Salute e degli Interni susseguitisi negli anni, al fine di garantire omogeneità applicativa e rispetto concreto del concetto di Salute.
Rimangono ad oggi notevoli discrepanze non solo regionali ma talvolta locali, legate alla discrezionalità applicativa di un diritto sancito.
Per poter districarsi nel complesso dedalo di tessere sanitarie, esenzioni e tutti i conseguenti diritti (ad es. riconoscimento di stato d’invalidità o infermità, infortunio sul lavoro), è importante attenersi alla normativa.
Per informazioni specifiche circa l’effettivo esercizio del diritto alla salute è necessario consultare regolarmente le norme previste dalla singola Regione. In Italia, a seguito della Legge Costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, spetta alle Regioni la competenza legislativa in termini di tutela della salute ma è compito dello Stato garantire l’equità dell’attuazione di questo diritto sancito dalla Costituzione, attraverso il monitoraggio dell’erogazione delle prestazioni e dei servizi contemplati nei Livelli Essenziali di assistenza (LEA). Nel 2012 lo Stato, le Regioni e le Province Autonome hanno siglato un accordo al fine di garantire una maggiore uniformità dei percorsi di accesso all’assistenza sanitaria per la popolazione straniera.
Tra le organizzazioni cardine che ci vengono in aiuto in materia giuridica, sanitaria e socio-politica, attive sul territorio italiano, ricordo: ASGI: Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione; INMP: Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà (INMP); SIMM: Società Italiana Medicina delle Migrazioni; ISMU: Iniziative e Studi sulla Multietnicità.
A livello internazionale, IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) e UNHCR (Alto Commissariato dei Rifugiati delle Nazioni Unite), garantiscono il monitoraggio dei flussi ed una solida base di osservazione globale del fenomeno migratorio.
Numerose sono le ONG, ONLUS ed associazioni che operano nell’ambito delle migrazioni ad ogni livello in Italia ed Europa: Naga, Emergency, MSF, Open Arms, Sea-Watch rappresentano solo l’inizio di un’importante lista.
Come Società Italiana di Medicina Tropicale e Salute Globale, l’auspicio è che si rafforzi la conoscenza ed il legame con ciascuna di queste realtà, al fine di promuovere un continuo scambio, confronto e supporto reciproco.

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